Benedetto Croce (1846-1928)

Il terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883 segnò profondamente la vita di mio padre, Benedetto Croce. Aveva soltanto 17 anni ed aveva appena conseguito la licenza liceale ed era in vacanza presso la “Villa Verde” con la famiglia quando la terra tremò. Morirono sotto le macerie il padre, Pasquale, la madre, Luisa e la sorellina Maria di appena 13 anni. Mio padre si salvò e fu estratto dalle macerie dopo due notti riportando la frattura di una gamba e di un braccio. Quell’ evento tragico cambiò la sua vita con la tutela di Silvio Spaventa e con l’ incubo sempre presente del terremoto. Non ritornò mai più nell’ isola d’ Ischia”
Così la figlia di Benedetto Croce, Lidia ,di 80 anni vedova dello scrittore polacco Gustavo Herling, ha ricordato la salvezza del padre dal terremoto di Casamicciola in occasione della ricollocazione della lapide dopo 33 anni di abbandono– per iniziativa del Centro Studi sull’isola d’Ischia e del Comune di Casamicciola Terme. Della tragedia si salvà il fratello Alfonso che partì da Ischia prima del terremoto. Tocco quindi allo zio Silvio Spaventa prendersi cura di lui, solo che mentre l'educazione della famiglia Croce era tutta dedita alle simpatie per i Borbonici, Silvio Spaventa era un rivoluzionario e fu il primo a salutare Garibaldi al suo arrivo a Napoli.

Nel libro Memorie della mia vita di Benedetto Croce scritte tra il 1902 e il 1912, pubblicate a cura di Raffaele Mattioli a Napoli nel 1966, viene riportata la seguente descrizione della tragedia: “Ricordo che sie era finito di pranzare, e stavamo raccolti tutti in una stanza che dava su una terrazza: mio padre scriveva una lettera, io leggevo difronte a lui, mia madre e mia sorella discorrevano in un angolo l'uno accanto all'altra, quando un rombo s'udì cupo e prolungato, e nell'attimo stesso l'edificio si sgretolò su di noi. Vidi in un baleno mio padre levarsi in piedi e mia sorella gettarsi nelle braccia di mia madre; io istintivamente sbalzai sulla terrazza che mi si aprì sotto i piedi, e perdetti ogni coscienza. Rinvenni a notte alta, e mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle, vedevo intorno il terriccio giallo, e non riuscivo a raccapezzarmi su ciò che era accaduto, e mi pareva di sognare. Compresi dopo un poco, e restai calmo come accade nelle grandi disgrazie. Chiamai al soccorso per me e per mio padre, di cui ascoltavo la voce di poco lontano; malgrado ogni sforzo, non riuscii da me solo a districarmi. Verso la mattina fui cavato fuori, se ben ricordo, da due soldati e steso su una barella all'aperto. Io mi ero rotto il braccio destro nel gomito, e fratturato i più punti il femore destro; ma risentivo poca o nulla sofferenza, anzi come una certa consolazione di avere, in quel disastro, anche io ricevuto qualche danno: provavo come rimorso di essermi salvato solo fra i miei, e l'idea di restare storpio o altrimenti offeso mi riusciva indifferente”.

Un cronista, girando fra le corsie degli ospedali napoletani, lo intervistò e così riferì ciò che il giovane Croce raccontò di quella terribile notte: "Ieri fu trasportato a Napoli anche il figliuolo primogenito del comm. Croce; egli è gravemente ferito a una gamba e ad un braccio. Perirono il comm. Croce, la moglie e una figlioletta. Il giovinetto superstite di questa ricchissima famiglia foggiana, stabilita da lunghi anni a Napoli, conserva una memoria precisa dell'accaduto. La madre e la sorella sparirono nel vortice del crollamento, né si udì di loro alcuna voce. Egli, che era seduto ad un tavolino insieme col padre, precipitò. Il padre fu coperto tutto dalle macerie, ma parlò dalle nove e mezzo del sabato fino alle undici antimeridiane della domenica successiva. Benedetto era sepolto fino al collo nelle pietre, aveva però il capo fuori di esse. Il giovinetto fu estratto dalle rovine verso mezzogiorno, poco prima che il padre avesse cessato di parlare. Si racconta che con gran senso pratico dicesse al figlio "offri centomila lire a chi ti salva".




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